sabato 27 giugno 2015


AFFETTIVITÁ  in  MUSICA  

CAOS  e  COSMO


PREMESSA

Parleremo di musica e del suo rapporto con le altre sfere culturali, collegando particolarmente le nostre riflessioni a quelle del linguaggio filosofico, affine per astrattezza a quello musicale, assoluto perché svincolato dalla realtà (ab-solutus = sciolto, sciolto da ogni legame con la realtà).

La matematica,  comunemente  ritenuta  una  scienza,  è  un 
linguaggio, ed è un linguaggio assoluto posto al servizio delle scienze quali, ad esempio, la fisica e la chimica.
Il fatto che la musica non abbia una sua capacità semantica, non vuol dire che non sottintenda una ideologia intrinseca, variabile a seconda dei musicisti e delle epoche storiche (la visione del mondo di Beethoven non è quella di Vivaldi o di Stravinskij). Il linguaggio musicale, essendo assoluto, mostra quindi allusivamente, indirettamente - attraverso l’organizzazione sintattica dei suoni - il proprio contenuto lirico e la ‘Weltanschauung’ dell’epoca in cui la musica nasce e vive.
CAOS  e  COSMO
I suoni della natura come forze primigenie

Il titolo del saggio, “Affettività, pulsioni e sublimazioni in musica”, ne sottende uno più esplicito che riguarda l’espressività della musica.
Nella premessa si è notato che la caratteristica peculiare del linguaggio musicale è la sua asemanticità, la sua incapacità di esprimere precisi significati, proprietà che lo distingue dagli altri linguaggi artistici. Come linguaggio assoluto può dire l’indicibile, l’ineffabile, tutto ciò che sta nel subconscio dell’uomo piuttosto di ciò che sta nel reale, di ciò che è realtà udibile o palpabile come la manifestazione di un temporale o le descrizioni oggettuali.
La precedenza va data alle primordiali manifestazioni sonore ascoltando alcuni dei rumori/suoni della natura nel suo ipotizzabile nascere, organizzarsi ed evolversi sino all’avvento dell’uomo con il suo battito cardiaco e il suo respiro. La proposta può apparire ingenua, ma va ascoltata attentamente cercando di identificare i rumori come suoni, così come voleva John Cage.

Ascolta  ‘Caos e cosmo’  Rumori/suoni
(registrazione amatoriale fatta all’aperto dall’autore del libro)
http://www.magris.it/libro/rumori.mp3

Gli Uitoto, selvaggi dell’Amazzonia, dicono che all’inizio la Parola diede origine al Padre. Il concetto di ‘parola’ rende il senso originario di qualcosa di primario e ‘sovrannaturale’ (Parola→Padre, Padre = Dio), qualcosa di indefinibile. Questo elemento primario era chiamato dagli egizi una ‘risata’ oppure un ‘grido’ del dio Thot. Nella maggior parte delle civiltà arcaiche il musico è considerato un semidio perché crea il suono dal nulla. Lo sciamano, guaritore e musico, usa il fiato come espressione sonora: il canto del suo respiro.
Per Pitagora il suono è l’aspetto sensibile dell’universo:ogni pianeta col suo movimento genera nell’atmosfera un attrito che produce un suono. La somma dei suoni generati da tutti i pianeti ci dà quello che percepiamo come silenzio. Teoria molto suggestiva, di grande lirismo cosmico e che si collega perfettamente allo spettro solare e al bianco risultante dalla somma dei suoi colori.
Nella cultura indiana nasce il respiro del Brahman, l’inspirazione e l’espirazione che si fa percettibile come vibrazione acustica magica; un suono che, tremolando, diviene la famosa sillaba OM emessa in coro dai monaci tibetani per sintonizzare il loro animo (il microcosmo) alla megavibrazione dell’universo (il macrocosmo). Per sintonizzare l’uomo all’universo. 
Anche Goethe, nelle sue ‘Massime e riflessioni’, intuisce la preminenza del suono scrivendo: “E’ forse nella musica che la solennità dell’arte appare nel modo più straordinario, poiché essa non ha una materia con cui dover fare i conti”.
                                               (Goethe  ‘Sulla musica’ , Edizioni Studio Tesi 1992, p 39) 

La musica è fatta di suoni che sono dei rumori più o meno organizzati tra loro secondo la cultura in cui l’opera nasce, o il periodo storico in cui si sviluppa all’interno di una stessa civiltà (sviluppo diacronico): i suoni del canto gregoriano non si susseguono allo stesso modo di quelli che stanno nella musica barocca, in quella dodecafonica o elettronica. Tutti, comunque, nascono dai rumori naturali, da quelli ancestrali e terribili del caos, del disordine dell’universo ancora informe: risonanze che possiamo soltanto immaginare, o identificare – ad esempio – nei terrorizzanti boati del terremoto o nei fragorosi tuoni e scrosci d’acqua dei temporali. Poi vengono quelli del cosmo, dell’ordine naturale delle cose: i rumori/suoni così come si manifestano o si sono manifestati nel nostro pianeta, più o meno paurosi e portatori d’ansia, più o meno piacevoli e distensivi. E’ un approccio al suono naturale che porta all’avvento del respiro e del battito cardiaco, ambedue simboli della pulsazione ritmicamente ordinata, premessa all’ideazione dei mezzi fondamentali morfologici/grammaticali di cui si serve la musica occidentale: melodia, armonia, ritmo. I suoni che diventano canto (melodia) nella loro successione sviluppata orizzontalmente. I suoni che diventano armonia quando sono prodotti simultaneamente (scritti verticalmente e realizzati – ad esempio al pianoforte – premendo due o più tasti contemporaneamente). Il tutto sorretto dall’elemento coordinatore che dà senso al tutto: il ritmo.
Il ritmo è la componente fondamentale del discorso musicale; senza il ritmo la musica, qualsiasi essa sia, manca di coerenza, di costruzione delle sue frasi fatte di un inizio e di uno sviluppo regolamentato come la sintassi del discorso parlato con le interpunzioni.
La composizione è un insieme di incisi musicali, di frasi e periodi musicali ben coordinati nel tempo, ben ritmati da pause, da rotture della continuità temporale che è l’elemento coordinatore capace di dar senso al discorso musicale.
Un altro contesto musicale che evoca situazioni fisiche e psicologiche primordiali è quello proposto da Gyorgy Kurtág (1926 -), il musicista contemporaneo ungherese che con la sua musica suggestiva riecheggiante remote lontananze e sottili capacità incantatorie, ci conduce in un passato ancestrale molto coinvolgente. La stimmung musicale, l’atmosfera evocata dai suoi messaggi è paragonabile allo stato di contemplazione che il cielo lontano provoca nel principe Andrej – uno dei protagonisti di ‘Guerra e pace’ di Tolstoj – ferito e disteso a terra con lo sguardo rivolto al cielo. Scrive Tolstoj: “Ma non vide nulla. Al di sopra di lui non c’era più nulla, non c’era che il cielo: un cielo alto, non luminoso ma, ciò nonostante, incommensurabilmente alto, con nuvole grigie che quietamente strisciavano su di esso ... «Come è calmo, tranquillo e solenne!», pensò il principe Andrea, ... «Come mai non ho veduto prima questo cielo sublime?  ... Non esiste nulla tranne esso. Ma nemmeno esso esiste; non esiste nulla, tranne il silenzio, la quiete, il riposo»”.
                                               L.Tolstoj ‘Guerra e pace’,  Mondadori 1957, vol I p 397)

Ascolta  -  György Kurtág    “… quasi una fantasia …”