venerdì 27 novembre 2015

IO SONO IL VENTO di Jon FOSSE (1959)





Cinque anni sembrano pochi ad un giovane uomo, ma pesano ad un ottantunenne quale io ero nello scrivere il saggio intitolato 'Vecchiaia dolceamara Vecchiaia' in cui cercavo disperatamente una percezione, un senso positivo della vecchiezza. Ora, ottantaseienne, la mia visione del mondo - chiamata dai filosofi tedeschi Weltanschauung - è maggiormente critica nel valutare gli aspetti attinenti il buonsenso, l'assennatezza e soprattutto nel credere alla pretenziosa saggezza, quella che si ritiene capace di distinguere il bene dal male, di moderare i propri desideri e giudicare i comportamenti altrui grazie all'esperienza acquisita. Se - com'è vero - ho superato l'inquietudine della morte, posso ritenermi un vecchio tranquillo.
Forse perciò ho gradito lo sconvolgente dramma che ieri sera - 25 novembre 2015 - Radio3 ha trasmesso e ora propongo al vostro ascolto.

Titolo:  'Io sono il vento' - Autore: Jon FOSSE (scrittore e drammaturgo norvegese)
Attori:   Alberto Astorri e Luca Zacchini.
Regia:  Massimiliano Civica.
Luogo: Teatro India di Roma.
La 'ballata' che conclude il dramma è 'The Weeping Song' (La canzone del pianto) di Nick Cave, della quale riporto il testo del ritornello:

Questa è una canzone del pianto,
Una canzone nella quale piangere
Mentre tutti gli uomini e le donne dormono.
Questa è una canzone del pianto,
Ma io non piangerò a lungo.

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Commento - breve recensione:
Il titolo 'Io sono il vento' è piuttosto significativo. La parola è volatile, instabile come il vento che tutto sospinge verso l'infinito, verso l'ignoto e lo sconosciuto del comportamento umano (l'inconscio), che Jon Fosse caratterizza con poche parole e soprattutto con il silenzio. 
Due sono i protagonisti - non si sa come apparentati - che dialogano sulla vita e sulla morte (mai, comunque, citata), rievocando un avvenimento drammatico avvenuto non sappiamo quando: il suicidio di uno dei due. Il loro discorrere è sempre indeterminato, fatto di voci le cui parole nulla comunicano di compiuto, perché tutto è sotteso. Possiamo immaginare scambi di sguardi eloquenti più delle parole. E avvertiamo i silenzi evidenziati dal respiro affannoso dei due piuttosto che dalla loro durata.  
Certamente il respiro è una manifestazione vitale che ben evoca - con il suo possibile arresto - la morte: le verità si esprimono con molto pudore!