giovedì 2 novembre 2017


RE  RUGGERO di  KAROL SZYMANOWSKI 
opera in tre atti  (1926)

Karol SZYMANOWSKI (1882 - 1937) - Immagine Wikipedia

Da anni non sentivo un'opera che coinvolgesse tanto profondamente la mia sensibilità. I miei lettori sanno quanto sia in me radicata la  convinzione che un ascolto motivato dev'essere permeato da un buon grado di razionalità. Un grazie all'«Accademia di Santa Cecilia» in Roma che, sotto la direzione di Antonio Pappano, ha prodotto - in ineccepibile forma concerto -  quest'opera di raro ascolto. Il recupero ha indotto "Sky Classica" a riproporla  nell'edizione 2009 del Festival di Bregenz, alla quale mi riferirò per stendere la breve e sobria analisi.

Per ogni recensione di opere rappresentate, si continua a scrivere degli influssi subiti dall'autore. Per "Re Ruggero" si citano Wagner, Debussy e Skrjabin; è ovvio che tutti i compositori sono  compenetrati dalla musica che li ha preceduti. Io ravviso - particolarmente nel canto di Roxana - il clima del primo Schönberg (quello del monodramma "Erwartung")Il grandioso organico e le raffinate elaborazioni orchestrali ricordano Richard Strauss e le sperimentazioni musicali del primo novecento.
Szymanowsky, di fede cattolica, e il coautore del libretto Iwaszkiewicz si rifanno alle "Baccanti" di Euripide, ma avendo bene in mente anche "La nascita della tragedia" di Nietzsche con la contrapposta compresenza degli dei Apollo e Dioniso: dio della perfezione formale e dell'equilibrio il primo, sregolato ed edonista il secondo. 
Il re normanno Ruggero II si trova in conflitto tra la sua radicata cristianità occidentale e l'attrazione per l'edonismo pagano del mistico Pastore orientale. Ma dopo la notte del baccanale che, seppure indirettamente, lo ha coinvolto, all'alba si libera dal fascino di Dioniso (il Pastore si presenta proprio in questa veste) e, moralmente arricchito, saluta, con un travolgente inno riparatorio, il Sole/Apollo.
Per cogliere maggiormente la semantica del linguaggio usato dal compositore, scrivo vedendo e ascoltando l'edizione del Festival di Bregenz, provvista di sottotitoli.  

Atto primo
In una chiesa si sta celebrando una messa solenne. L'arcivescovo e la badessa si interrogano sulle ragioni dell'allontanamento del popolo dalla chiesa. Il saggio consigliere del re, Edrisi, interviene fornendo una descrizione del pastore responsabile della diffusione di una nuova religione. L'arcivescovo pronuncia dure parole di condanna, ma la regina Roxana intercede affinché venga fornita al pastore la possibilità di spiegarsi. L'arrivo di quest'ultimo muta completamente l'atmosfera: egli proclama il suo credo e si abbandona all'elogio dell'amore e della bellezza. Roxana ne è attratta e si unisce a lui nel canto. Il richiamo di Ruggero al silenzio infrange improvvisamente il clima estatico; il re lascia partire il pastore e gli dà appuntamento per la sera stessa al palazzo reale.

Atto secondo

Nella profonda notte stellata, nel cortile interno del palazzo, Ruggero ed Edrisi attendono. Giunge il pastore con i suoi, annunciato da lontano dal suono di tamburello e cetra, e saluta il re in nome dell'amore eterno: parla della nuova religione, delle sue origini e invita alla musica e alla danza. A questa si abbandonano tutti i discepoli del pastore, e anche Roxana. Ancora una volta è la voce del re a porre fine al clima d'estasi. Un tentativo di incatenare il  pastore non ha successo, ed egli può lasciare il luogo seguito dai suoi e da Roxana, come in sogno. Il re, rimasto solo, depone corona e mantello e si appresta a seguire gli altri.

Atto terzo
Guidato da Edrisi, il re giunge fra le rovine di un anfiteatro greco; chiama Roxana ed ella gli risponde: gli dà il benvenuto, perché è entrato nel regno dell'amore in umiltà e senz'armi. Sull'altare posto al centro dell'anfiteatro appare il pastore, nelle vesti del dio Dioniso; tutti si trasformano in baccanti, driadi e satiri. Quando la notte giunge al termine, il re saluta Apollo nel sole nascente: sono partiti tutti ed egli è rimasto solo, rinato e arricchito dal credo dionisiaco senza esserne divenuto adepto. 
                                                                                     (tratto dal programma di sala dell' Accademia di S. Cecilia)

ATTO I: l'azione si svolge in un tempio cattolico di origine bizantina (Szymanowski aveva visitato la Sicilia e si rifà alla Cappella Palatina del Palazzo dei Normanni dove - nell'abside - sta il mosaico di Cristo Pantocratore). La corte del re è turbata dall'arrivo di un Pastore proveniente dall'Oriente ed eccezionalmente bello. Egli - elogiando la bellezza e l'amore - affascina la regina Roxana sposa del Re Ruggero che, sconvolto, gli fissa un incontro.
L'inizio dell'opera, affidato al coro e alle voci bianche, è molto suggestivo e permeato di orientaleggiante spiritualità: quella dell'  Hághios Théos (Santo Dio), che ricrea l'aurea atmosfera della chiesa bizantina. 
La poderosa orchestra, con prevalenza degli ottoni, commenta l'ingresso in scena del Pastore annunciato da un colpo di timpani. Il re lo invita a parlare. "Il mio Dio è bello  come me!" risponde con un canto estasiato, esternazione del divino che sta in se stesso. E' un canto dolce, affidato alla voce di tenore, fatto di notevoli salti di grado senza essere impervi: lui non intende imporsi forzatamente ma con convincente delicatezza: "Il mio Dio è il buon pastore che va per strade pietrose e cerca smarrite greggi, e l'uva in mano tiene". (Szymanowski identifica Dioniso con Bacco dipinto da Caravaggio).


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SZYMANOWSKI - RE RUGGERO - Atto I

ATTO II: un commovente Interludio di sapore wagneriano, apre la scena all'interno del palazzo del re che sta seduto sul trono in attesa del Pastore qui convocato.
Roxana, voce di soprano, canta in modo ondeggiante - un impervio salire e scendere della voce - come l'animo suo turbato dalla presenza del Pastore. Re Ruggero, baritono, esprime la sua regalità con un canto a volte disteso - ma dalla difficile linea vocale - altre concitato per mostrare il suo turbamento nell'attesa.


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SZYMANOWSKI - RE RUGGERO - Atto II - Aria di Roxana, Sgomento di Ruggero

L'arrivo del Pastore è annunciato da squilli di tromba e da un disegno contrappuntistico che si accentua con l'intervento dei corni e un amalgama di suoni orientaleggianti. Lui si presenta con un impervio salto di ottava (Haslo: Roger = la parola d'ordine: Ruggero).
Re Ruggero canta tormentate note che evidenziano il suo conflitto interiore: "Perché mai trema il mio cuore?" (l'omosessualità di Szymanowski traspare con evidenza).
Il Pastore invita tutti a seguirlo. 
Nella danza sfrenata del baccanale, sono evidenti gli influssi esotici della musica orientale: l'uso delle percussioni, del cromatismo e dei microintervalli (la distanza tra un suono e l'altro è più piccola del semitono. La scala temperata occidentale comprende 12 semitoni: l'intervallo più piccolo è, appunto, il semitono [es:do-do#]) tipici di quel genere di musica, sono affidati al Pastore, contrapposti all'armonia su tonalità scure di Re Ruggero che evidenziano il suo conflitto interiore. Getta la sua corona, butta a terra la spada e  il mantello simboli del potere, e  ordina alla corte: "Seguiamolo! Il re va (diventa) pellegrino".

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SZYMANOWSKI - RE RUGGERO - Atto II - Arrivo del Pastore, Baccanale

ATTO III: rovine di un teatro antico. Musica tipicamente polacca: la mazurka e quella arcaica popolare. Musica elaboratissima e conquistatrice: la voce di Roxana proviene da luoghi remoti e si mischia con quella del Pastore e di Ruggero sconvolto dalla rinnovata bellezza di Roxana (ma nei tuoi occhi vedo un mistero più profondo che nella luce delle stelle). La musica si fa densa con la contrapposizione dei numerosissimi strumenti che compongono l'orchestra, i solisti e il coro in una pagina musicale di rara complessità e capacità penetrativa negli spettatori.
Szymanowski, e il librettista cooautore Iwaskiewicz, non scordano 'La nascita della tragedia' di Nietzsche e la contrapposizione degli dèi Apollo e Dioniso; l'uno dio della perfezione formale e dell'equilibrio comportamentale, l'altro dio della sregolatezza e dei piaceri voluttuosi. Re Ruggero rappresenta l'ordine apollineo che viene sconvolto - e in buona parte sommerso - dalla presenza primordiale e dionisiaca del Pastore: "vi invito a un viaggio infinito, a una danza gioiosa". Roxana sente in sé una forza misteriosa, getta il suo mantello e si unisce ai clamori orgiastici della folla. Il Pastore/Dioniso irradia una luce soprannaturale e sparisce. La musica si cheta al suono del corno inglese e la scena si fa vuota ad eccezione di Re Ruggero che - sentendosi attratto da Dioniso - si rivolge al sole: "e dal fondo della mia solitudine io afferrerò il mio cuore  limpido e l'offrirò al sole!".  

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SZYMANOWSKI - RE RUGGERO - Atto III - DIONISO


Il suo conflitto interiore sembra superato: Apollo e Dioniso convivono in lui.
In noi permane la nostalgia di quest'opera fatta di rapimenti estatici ed estetici. 







martedì 12 settembre 2017


JEAN SIBELIUS
 musicista dei paesaggi nordici 






foto tratta da 'The Grand Lodge'

Come rimanere insensibili ai colpi di timpani che danno inizio alla settima sinfonia in un toccante adagio svolto dagli archi e dai legni? Non è un motivo 'cantabile' (nel senso proprio di poterlo canticchiare), ma è molto intenso e penetrante nella sfera affettiva, austero e sconsolato come lo sconforto e l'angoscia che Sibelius stava vivendo al tempo della composizione. Si era rifugiato nell'alcool come mezzo di controllo - secondo la sua convinzione - del tremolio della mani che gli impedivano di scrivere e dirigere.

clicca VEDI e ASCOLTA  inizio della Sinfonia 






Parlo della Sinfonia N. 7 in Do maggiore op.105 composta da Jean Sibelius (1865 - 1957) nel 1924 in un unico grande movimento: perciò - in un primo tempo - l'aveva denominata Fantasia sinfonica. Eseguiti senza soluzione di continuità, stanno al suo interno, un adagio, un vivacissimo, un allegro molto moderato e una coda conclusiva, ancora in tempo adagio: drammatica al punto da evocare - sommessamente ma insistentemente - l'«urlo» di Munch. 
Un grido di stupore anziché di orrore, suggerito dalla natura pervasiva che circonda l'uomo del quadro: la natura scandinava comune ai due artisti che diviene 'nostra' - propria di noi ascoltatori della settima sinfonia di Sibelius.
Intendo scrivere di quest'opera in termini per me nuovi perché privi di considerazioni teoriche riguardanti la prassi musicale.
Perché questo mio mutamento, questo ripensamento, questa mia ponderata meditazione su di un'opera che conosco da oltre un quarantennio? Invecchiando si ritiene di poter osare la sconvenienza esponendo criteri interpretativi poco canonici: criteri dettati da sensazioni sonore prodotte da segnali acustici che vanno a colpire prevalentemente la sfera sentimentale piuttosto di quella razionale voluta dalle regole - formulate nei vari secoli - come quelle della teoria musicale, dell'armonia e del contrappunto. Non tenerne conto, o farlo soltanto parzialmente (un musicologo non può disconoscere la sua formazione), è legato alla psicologia della vecchiaia e al desiderio di abbandonarsi ad emozioni istintive, vissute spontaneamente, ingenuamente - come vuole Schiller - legate sensazioni prive di sostegno culturale. 
Ascoltare musica in tal modo, significa farsi avvolgere dai suoni intesi nel loro timbro, nella loro intensità, nella loro varietà slegata da norme compositive per privilegiare la capacità recettiva naturale. 
Ecco allora che l'intervento dei tromboni, nella settima di Sibelius,  crea un'atmosfera musicale astratta e onirica che possiamo legare al paesaggio e al mito nordico.


clicca VEDI e ASCOLTA  tema dei tromboni





Scrive Sibelius: "Ampiamente si levano le foreste del Nord, i sogni selvaggi, antichi, misteriosi e meditativi. Dentro vi abita il potente Dio della foresta e i segreti magici delle tenebre".
La sua musica è stata per anni sottovalutata dalla critica (Adorno, il famoso filosofo e musicologo, definì Sibelius una 'schiappa' [sta in 'Minima moralia' ] ) che ora rivede la sua posizione con criteri propriamente ermeneutici riconoscenti il contributo da lui dato alla cultura del XX secolo, similmente alle architetture dei contemporanei e conterranei Saarinen e Alvar Aalto.

Nel 1930 smette di comporre e attende la morte - immerso nell'alcool e condizionato da forti depressioni - che avverrà nel 1957, all'età di novantuno anni.
   
Sibeliua nel 1939 - immagine tratta da Wikipedia -


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Solitamente i tempi veloci sono distensivi e briosi. Questo vivacissimo, invece, vive in un'aura poetica magica le cui suggestioni possono rifarsi solamente ai paesaggi nordici.
L'orchestra intera, ma particolarmente gli archi eseguono, con brevi arcate, note staccate e legate in crescendo e decrescendo. Tutto è molto coinvolgente e sembra preparare il ritorno dei tromboni con il loro inequivocabile tema.
La sinfonia si chiude con un breve adagio struggente e disperato: espressione dell'emotività vissuta da Sibelius in quel periodo. Una conclusione scritta in modo affettuoso ed intimo: esternazione del suo testamento spirituale.


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Ascoltiamo l'intera sinfonia eseguita dalla 'Det Kongelige Kapel' (l'orchestra reale danese) diretta da Sir Simon Rattle.

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Abbandoniamoci ad un ascolto di grado emotivo piuttosto che intellettivo: la razionalità non ispira Sibelius.
La peculiarità del paesaggio nordico sì!



  



giovedì 18 maggio 2017


Giovanni  ANTONELLI
e il suo
"Libro di un pazzo"

             Giovanni Antonelli - Stabilimento tipografico cooperativo, Fermo 1909. 


'Il libro di un pazzo', autobiografia  di Giovanni Antonelli (1848 - 1918), fu pubblicato a Civitanova Marche dall'editore Domenico Natalucci nel 1892. Poi l'autore cadde nell'oblio.
Massimo Gezzi lo ha riscoperto e riproposto, pubblicando il libro 'Uno di nessuno. Storia di Giovanni Antonelli poeta' (Edizioni Casagrande 2016).
Radio3 Suite del  12 maggio 2017 ha intervistato l'autore che ha letto le poesie Infanzia, Mozzo di marina, Con mia madre, Dopo, accompagnato dal brano musicale 'Lacrimae Antique' di John Dowland (1563 - 1626) nella esecuzione del gruppo  di John Halloway (2 violini, 4 viole, 1 violone) incise dall'etichetta ECM. 
Massimo Gezzi è andato oltre scrivendo il poema musicale intitolato 'Uno di nessuno. Io sono Antonelli', in collaborazione con Roberto Zechini autore della musica e lui stesso esecutore alla chitarra.
Ascoltiamo l'intervista e la lettura di Massimo Gezzi delle poesie citate.  
Clicca e ASCOLTA


Giovanni Antonelli dimostra sin da bambino una personalità piuttosto complessa. Studia con profitto, ma è insofferente alla disciplina e al vivere comune: a tredici anni si arruola come mozzo in marina e subisce soprusi che incideranno profondamente nella sua psiche. Non ha fissa dimora e vive di espedienti elemosinando e vagabondando per l'Italia.
Si interessa di politica, è anticlericale e propende all'anarchia: il suo rifiuto delle leggi lo condurrà più volte in carcere e i disturbi psichici in manicomio. Antonelli riferisce come fu definito da Enrico Morselli psichiatra, direttore di uno dei manicomi in cui fu ricoverato: "mattoide, politicante, demagogo, utopista, socialista, di bell'aspetto ed ingegno, poeta e scrittore ... Sofferente di megalomania, è convinto che il male lo perseguiti in virtù della sua eccezionale natura. 
Ma il mio male, stimato direttore, è solo una risposta alla abiezione di cui mi vorreste vittima ... Poichè sono, non ho: io sono Antonelli e voi tutti siete me". 
Dal 1909 si perdono le sue tracce e cade nel dimenticatoio.
Le sue poesie hanno una forma prosastica e sono facilmente comprensibili: il loro carattere naive non riduce la portata semantica, anzi, ne accentua l'originalità contestataria e la commovente drammaticità.

Chi volesse ascoltare il poema musicale di Gezzi e Zechini apra questo link cliccandoci sopra: 
                                     








domenica 16 aprile 2017

MORGEN  und  ABEND 
di Georg Friedrich Haas - libretto di Jon Fosse 
 Mattino e sera 



Opera House Covent Garden (novembre 2015): il pescatore Johannes 


Fosse e Haas, due artisti dell'avanguardia drammaturgica e musicale mondiale. Il primo, norvegese, è stato protagonista del nostro discorrere in "Io sono il vento" (pubblicato il 27/11/2015), opera sconvolgente per le sue considerazioni sul perché della vita e della morte. Tema evidentemente ineludibile per Jon Fosse (e per l'intera umanità), che riprende esasperandone la forma espressiva soprattutto sotto il profilo semiologico: l'assenza della punteggiatura, la reiterazione di parole, frasi e concetti che richiedono al lettore/ascoltatore un notevole grado di concentrazione per cogliere la proprietà semantica del testo. 
Esempio: "Perché è così tranquillo / là nella stanza / così stranamente tranquillo/ cosa può significare / non un suono / lì dentro / cosa può significare / cosa sta succedendo / Quando nasce un bambino / non va così tranquillamente / so che era morto / anche come uomo".
Fosse narra, quindi, le esperienze del momento inteso nel senso fenomenologico. Lui stesso afferma: "sono le parole singole, poche parole, quelle semplici e basilari a dire le cose fondamentali, non la retorica, non le grandi frasi".

  
Jon Fosse (1959)

Scrive una semplice trama espressa in forme complesse: le parole e le frasi si ripetono con millimetrico spostamento di significato, piccoli cambiamenti di contesto. Il romanzo, comunque, fornisce ampie opportunità di meditazione sulla vita e sugli gli aspetti religiosi e ultraterreni.
Quando Johannes e Peter vanno in città incontrano Erna, la donna che Giovanni aveva un tempo sposato: si vedono nuovamente giovani e camminano a braccetto. Si rivedono a casa, dove la sposa aspetta che rientri dalla pesca; lui le prende la mano e sente che è fredda. 
Ancora una volta, Fosse non fa distinzione tra vita e morte, tra passato e futuro: vita e morte sono esperienze ineludibili della vita. 
Trama. L’opera è divisa in due parti: la prima è una specie di prologo e racconta del pescatore Olai che sta in cucina, in attesa che la moglie Erna – assistita dalla levatrice Anna – dia alla luce il loro figlio che si chiamerà Johannes e farà il pescatore come il padre. 
Nella seconda parte, è trascorsa una vita e si seguono le  vicende dell’ uomo: sta dormendo tranquillo, ‘sazio di giorni’ (scrive Fosse che il suo racconto è immerso nel passato e in qualcosa che è sempre stato). Johannes un giorno si sveglia. E’ un giorno come gli altri, eppure diverso: si alza, prepara una tazza di caffè e – seppur controvoglia perché non ha fame – mangia un pezzo di pane con formaggio. Poi arrotola una sigaretta e la fuma. Barcolla tutto il giorno sulle sue vecchie gambe e incontra le persone più importanti della sua vita, la maggior parte delle quali è morta anni fa: l’ottimo amico pescatore Peter, al quale getta amichevolmente un sasso che gli attraversa il corpo. Peter è una persona importante per Johannes perché, una volta, gli ha salvato la vita in mare. E sarà lui a guidarlo lontano dalla vita, verso l’aldilà. Incrocia per strada la figlia Signe, ma quando – alla fine dell’ opera  – lei va a fargli visita lo trova a letto morto: "come fosse addormentato, gli prende la mano e la preme sui suoi occhi. Ma vede le dita bluastre". 
Presente e passato si confondono. 


Georg Friedrich HAAS (1953) - Morgen und Abend (2015)

La prima mondiale dell’opera è avvenuta alla Royal Opera House Covent Garden di Londra.
Personaggi ed interpreti: 
Olai: (voce recitante) Klaus Maria Brandauer 
Johannes: Christoph Pohl – baritono
Anna levatrice: Sarah Wegener – soprano
Peter: Will Hartmann – tenore
Erna: Helena Rasker – contralto
Signe: Sarah Wegener – soprano 
Orchestra e Coro della ‘Royal Opera House Covent Garden’ diretta da Michael Boder. 



Georg Friedrich Haas (1953)

Haas musicista nasce dalla ‘scuola spettrale’ di Gérard Grisey, Hugues Dufourt,  Tristan Murail e altri, che analizzano il singolo suono scomponendolo nelle sue componenti armoniche (spettro armonico) per farne elementi fondamen- tali intorno cui ‘ruotare’ la composizione. Ed è noto per il suo frequente uso di microtoni, cioè di intervalli inferiori al semitono.
“Non aspettatevi melodie”, dice Haas a proposito di ‘Morgen und Abend’, non aspettatevi armonie ma 'paesaggi sonori': cerco di creare un linguaggio musicale che non si basi su strutture notate ma sulla percezione del suono”.

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                                                                              Parte prima (selezione)

L’opera inizia con una sequenza orchestrale affidata alle percussioni –  in particolare a forti colpi dei tamburi bassi – che perforano lo stridio degli archi evocanti le grida del travaglio. Fuori scena un 'coro muto’ (senza parole)  crea un’atmosfera meditativa e vagamente contemplativa. Poi la levatrice Anna (soprano) annuncia ad Olai la nascita del figlio: “Du hast eine Sohn!” (Tu hai un figlio!)
“Nascere non è armonia sentimentale.”, dice Haas, “E’ un atto brutale e terribile come morire”.


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Parte seconda (selezione)

La seconda parte è aperta  dal coro (rappresentante il mondo terreno che ‘guida’ la vita) e dalla voce di Johannes (baritono) che incontra l’amico Peter (tenore) per ricordare il passato e l’amore per Erna (anche Peter fu segretamente di lei innamorato) la cui presenza viene appena evocata. L’orchestra accompagna il dialogo in modo variegato ma prevalentemente cupo: quello proprio alla morte sempre presente.
La conclusione è affidata alla figlia Signe (soprano) che trova il padre Johannes morto (vede le dita bluastre). Essendo l’unico essere vitale, il suo canto si diversifica dagli altri per l'andamento arioso. E conclude bruscamente l’opera. 
Siamo tornati al mattino?